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Vino: viti “nazionaliste”, ci sono differenze tra continenti

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13 October 2022
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Reading Time: 3 mins read
Tags: American Chemical SocietyFondazione Edmund MachFulvio MattiviJan StanstrupLuca NarduzziSan Michele all’Adigevinoviti“Journal of Agricoltural and Food Chemistry”
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vigneto_marcopolonews copiaSi fa presto a dire vino. Ormai lo dicono e lo producono tutti, in ogni angolo del mondo, anche in Paesi che non hanno alcuna tradizione specifica. E molti lo fanno per coltivare viti e per produrre vini avvalendosi anche soprattutto delle esperienze e conoscenze (know how) italiane, ai cui vini poi muovono concorrenza sul mercato interno ed estero. Ma la scienza ha sancito indiscutibilmente che ci sono sostanziali differenze tra vitigni, ad esempio tra quelli italiani e quelli americani. E, di conseguenza, seppure a parità di denominazione, i vini sono differenti. Insomma, non è solo questione di palato, ma la vite usa non è come quella italiana. Evviva il Made in Italy!

Studi della celebre e accreditata Fondazione Edmund Mach, di San Michele all’Adige (Trento) lo dicono inequivocabilmente, tanto da riscuotere vasta eco internazionale. Le analisi metabolomiche sono diventate uno strumento molto utile per diminuire il rischio di insuccessi nei futuri programmi di coltivazione della vite, come hanno infatti dimostrato i ricercatori della Fondazione Mach in uno studio appena pubblicato sul “Journal of Agricoltural and Food Chemistry”, edito dall’American Chemical Society.

Gli esperti di San Michele all’Adige hanno comparato alcune specie di vite americana con quelle europee ed hanno analizzato un migliaio di composti, dei quali alcune centinaia non ancora noti. Con in mano questi dati sono riusciti a evidenziare le differenze tra vitigni, mettendo a disposizione dei viticoltori informazioni preziose per ottenere incroci di successo.

In questo studio, come ha reso noto la stessa Fondazione, è stata indagata la composizione delle uve rosse di quattro specie native americane, nel confronto con un gruppo di sette vitigni europei, contenenti sia varietà a bacca bianca sia rossa e, inoltre, un ulteriore gruppo composto da tre vitigni ibridi interspecifici, mantenuti in condizioni agronomiche identiche nelle collezioni ampelografiche della Fondazione Mach.

Grazie alle analisi metabolomiche effettuate sulla buccia, sui semi e sulla polpa delle bacche mature gli studiosi del Centro Ricerca e Innovazione sono riusciti a confrontare in profondità le caratteristiche compositive delle diverse specie. Con questa tecnica, infatti, è stato possibile studiare un numero di composti enormi in un’unica analisi, comparando anche le concentrazioni di quelli la cui presenza non era stata preventivata.

Questo nuovo approccio è stato messo a punto sotto il coordinamento di Fulvio Mattivi e realizzato da Luca Narduzzi nell’ambito del suo progetto di dottorato in Scienze Biomolecolari, coadiuvato per la parte statistica da Jan Stanstrup dell’Università di Trento.

Il lavoro ha permesso di porre in evidenza che le viti americane sono quasi completamente sprovviste di procianidine oligomere, ossia i tannini delle uve e dei vini rossi, la cui presenza nelle bucce e nei semi è essenziale perché conferisce gusto e conservabilità. Questo può spiegare le difficoltà di produzione di vini rossi di qualità quando negli incroci si ricorre a specie provenienti dal Nuovo Continente.

I vitigni nativi del Nord America, inoltre, sono risultati essere privi di terpeni, un’importante classe di aromi. Al contrario, per la prima volta, nella buccia e nei semi di questo gruppo di vitigni americani è stata riscontrata la presenza di ben 14 composti della classe degli ellagitannini, che in precedenza erano stati osservati solamente nella Vitis rotundifolia. In questo caso si tratta di una classe di composti la cui presenza potrebbe essere desiderabile: solitamente essi non sono presenti nelle bacche delle vite europea, mentre si trovano nei vini invecchiati estratti dalle botti di rovere.

In sostanza, quindi, le differenze tra i vitigni (e i vini italiani) e quelli americani ci sono davvero: nei frutti delle uve statunitensi ci sono meno tannini e meno composti aromatici.

Una risposta a quanti, soprattutto in Nord America, senza tener conto di differenze reali, pontificano e raffrontano con leggerezza (e talvolta spocchia), talvolta mal celando mirate operazioni di marketing di vago sapore autarchico, i vini del loro Paese con quelli di nazioni – come l’Italia – dove, invece, la vite e il vino hanno tradizioni plurisecolari e consolidate, con tecniche sperimentate e consolidate in vigna e in cantina.

Insomma, un altro valido motivo in più per sostenere ed apprezzare l’eccellenza del vino Made in Italy nel mondo, un vino che non ha eguali non solo per sapore ma anche per motivi scientifici.

 

di Dario de Marchi

15 Agosto 2015

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