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Costume: torna in auge l’inchino, tra ritualità e protocollo

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13 October 2022
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Reading Time: 3 mins read
Tags: 'petite révérence''révérence de cour'grande révérence'inchino“Point de vue”
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alice_marcopolonews copiaTorna in auge l’inchino. Un gesto di devozione, di rispetto, di ossequio e di bon ton che ormai è scomparso dalle nostre buone maniere. Ma non in ambito reale, nobiliare ed anche diplomatico. Un gesto tradizionale che si tramanda nei secoli. Nato nel Medioevo, glorificato alla corte di Versailles nel XVIII secolo e oggi in quella di Saint James. Rinasce l’inchino, atto formale, aristo-elitario con i suoi codici, saldamente ancorato ad un rituale antichissimo.

“Non c’è disgrazia più grande che dimenticare di fare l’inchino ad una altezza reale. È quello l’inizio della fine”, amava ripetere una duchessa francese conosciuta per il suo amabile ‘franc parler’. Preludio ad una esclusione sociale che poteva durare anche tutta la vita, ad un esilio involontario all’interno della propria casta.

Ginocchia piegate, il destro si protende in avanti, il sinistro si genuflette leggermente, il busto retto, un leggero inchino del capo, non si toglie lo sguardo dalla persona che si ha davanti. Non è però facile fare l’inchino. Richiede pratica, destrezza e scioltezza, una certa agilità, un tempismo e un equilibrio non indifferenti. Insomma, un’arte per la quale, un tempo, le fanciulle dell’aristocrazia frequentavano appositi corsi.

Ne era signora assoluta Lady D, la defunta ex moglie del principe Carlo d’Inghilterra, l’eterno aspirante al trono inglese. La sua grazia, il suo charme, il suo appeal, la sua eleganza innata oggi eguagliata, forse, dalla ‘commoner’ e futura regina di Danimarca, la principessa Mary.

L’inchino è una arte e un tempo (vedi le lezioni, all’inizio del ‘900, chez madame Vacani in Francia) le giovani fanciulle appartenenti all’aristocrazia o all’upper class si iscrivevano a veri e propri corsi.

E se la ‘petite révérence’ è alla portata di tutti, la ‘grande révérence’ o la ‘révérence de cour’, più complessa (in cui il corpo si piega sino a quando il piede destro tocca terra), è in via di estinzione.

Se oggi sopravvivono re e regine, granduchi e granduchesse, è pur vero che a partire dalla seconda guerra mondiale non esistono più le corti, come un tempo. Forse oggi l’ultima ‘grande révérence’ è praticata solo durante il celebre ballo delle debuttanti, che ricorre in molte capitali, a partire da Vienna. inchi_marcopolonews copia

Eppure la storia dell’inchino risale a tempi remoti. La sua prima apparizione nel Medio Evo, ma era già in voga nell’antico Egitto e in Persia, dove era uso prostrarsi a terra dinanzi al signore o all’imperatore. “Un vero e proprio rituale nel Medioevo, l’inchino”, come spiega il settimanale francese “Point de vue”, “regole non scritte ma in uso tra la società cortese”.

“L’inchino della dama, per esempio, al suo cavaliere prima che la musica desse inizio alle danza”, scrive il giornale, “ci sono poi, alle corti italiche e francesi, le giostre, i tornei. Prima di cominciare a ‘combattere’ ci si rivolgeva alla propria amata, di cui spesso si indossavano i colori, uno sguardo, un inchino e la sfida era aperta”.

Eppure un tempo l’inchino era riservato esclusivamente alle donne. Per motivi di banale praticità. Era più semplice far ‘piegare’ un abito, che un armatura realizzata, spesso, di ferro battuto. Ma è Versailles il cuore pulsante di un cambiamento epocale sulla ‘révérence’ che si trasforma negli anni in codice comportamentale.

Quando un’aristocratica veniva presentata a corte, al re e alla regina, era obbligata a fare l’inchino. Nelle sue memorie la baronessa l’Oberkirck scriveva: “Quando fui presentata a corte, feci i tre inchini, come da protocollo. Momento solenne, indimenticabile anche perché ci sono moltissime persone che vi guardano, vi scrutano. C’è sempre il timore di non essere all’altezza, di essere goffi, ridicoli”.

“In quei momenti si fa mente locale su tutto quello che ci hanno insegnato e abbiamo imparato. Come camminare retrocedendo o come sbarazzarsi, con un semplice gesto del piede, di una coda ingombrante con il rischio, desolante, di scivolare. Un affronto, imperdonabile quasi un oltraggio di lesa maestà” scrive ancora la baronessa.

Cambia la società, come la moda per le donne, si evolve, si esemplifica. Spariti i grandi imperi, oggi l’inchino rimane una sorta di rituale protocollare all’interno delle corti europee e non solo. Vedi la perfetta ‘révérence’ eseguita dalla neo first lady francese Carla Bruni Sarkozy dinanzi alla regina Elisabetta d’Inghilterra.

Del resto, come ha sottolineato in una intervista Adélaide d’Orléans: “Ho imparato a fare l’inchino sin dall’infanzia. Negli anni si è trasformato in una sorta di meraviglioso automatismo. Non c’è nulla di codificato nell’inchino. Un gesto simbolico che traduce il rispetto profondo nei confronti dell’altro”.

Ed ora torna di moda e molte signore e soprattutto le giovani, per non sentirsi out, cominciano a praticarlo quando, magari per ragioni legate al conto in banca e al patrimonio, frequentano classi sociali esclusive. La realtà è che non è mai finita l’epoca delle buone maniere e della galanteria.

 

di Patrizia Tonin

12 Ottobre 2015

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